La piazza non era molto affollata.
I tavolini dei locali, le panchine, perfino la scalinata che portava alla scuola Alberto Riva, frequentata quando era una bambina, si sarebbero popolati dopo il tramonto e tutto intorno l’aria tiepida avrebbe risuonato di un chiacchiericcio allegro, accompagnato dal tintinnare dei bicchieri. La fine di una giornata di mare o, forse, di lavoro si sarebbe compiuta lì; l’incontro con gli amici o quello, a lungo desiderato, con una persona speciale, avrebbe portato sollievo, risate, un bacio, un addio.
Innumerevoli storie si palesavano davanti ai suoi occhi, mentre camminava piano sulla pavimentazione ancora rovente: così come sentiva il calore attraverso le suole sottili dei sandali, allo stesso modo vedeva quella miriade di possibilità e di interazioni prendere forma davanti ai suoi occhi, in un riflesso del sole o all’ombra degli alberi. Anche se sapeva che non tutto sarebbe stato degno di nota, si stupì di quanto l’idea di quel tempo pieno di accadimenti la confortasse. Avrebbe voluto farne parte, immergersi tra la folla, indistinguibile creatura tra le tante agghindate per la serata estiva, e lanciare nelle quiete acque di quel lago colmo di possibilità -la piazza- la monetina del proprio desiderio.
Il pensiero la attraversò solo per un istante.
Sapeva di essere arrivata lì per un motivo ben preciso, anche se ancora non le era chiaro quale fosse, e tutta la banalissima vita di cui aveva avuto preveggenza l’aveva distratta dal suo compito; salì lungo la scalinata di pietra della scuola Riva e sedette con le gambe a penzoloni sulla balconata, poi cominciò a guardare e aspettare.
Sentiva l’aria tiepida insinuarsi tra le pieghe dell’ampio vestito in lino bianco, le accarezzava i polpacci e saliva sulle cosce, dandole quasi la sensazione di librarsi, sospesa sulle teste di coloro che attraversavano la piazza con il passo affaticato dalla calura estiva. Guardare e aspettare. Era quello che faceva sempre e anche se talvolta si stancava, si arrabbiava perfino per quel compito gravoso, strinse gli occhi come a voler fendere l’aria, perché era certa che prima o poi avrebbe capito.
I minuti passarono lenti e i camerieri dei locali tutto intorno cominciarono a sistemare i portatovaglioli sui tavolini: prese a osservare una ragazza con i lineamenti orientali, che sembrava danzare tra le sedie di plastica da quanto era aggraziata nel compiere i gesti abituali del suo lavoro, e così non vide arrivare il ragazzo alto e magro. Quando si era già allontanato fin troppo da lei, si accorse delle sue mani insanguinate e delle macchie rosse che imbrattavano la sua camicia azzurra con il colletto alla coreana: allora, con lo sguardo, si spinse in avanti e intercettò il monopattino che sfrecciava a grande velocità sulla traiettoria del ragazzo. Lo vedeva ancora ricoperto di sangue.
Non sarebbe arrivata in tempo. Prese uno slancio poderoso dalla balconata e davvero le parve di librarsi verso di lui, spinta forse dalla disperazione. Il vestito di lino bianco si gonfiò d’aria e lei quasi fluttuò davanti al ragazzo alto e magro e gli prese le mani, attirandolo verso di sé, tanto vicino da sentire il calore del suo corpo.
Il monopattino passò accanto a lui e la sua conducente, una ragazzina con il terrore stampato sul volto, gli sfiorò una spalla, facendogli volare gli occhiali da sole, che si andarono a sfracellare sulla pavimentazione della piazza. Il ragazzo alto e magro si era spaventato, ma non aveva riportato nessuna ferita, nemmeno un graffio. La conducente del monopattino non faceva che scusarsi, mentre alcuni passanti che avevano assistito alla scena la rimproveravano per la sua guida spericolata.
Ci era riuscita anche quella volta. Aveva rischiato, ma sulle mani grandi di lui, sulla sua camicia azzurra, non c’era traccia di sangue. Stranamente però si voltò verso di lei: avrebbe voluto che la vedesse, che le parlasse, invece si limitò a scuotere la testa e a guardarsi le mani, con occhi pieni di gratitudine.
Poteva ancora sentire il tocco delle dita del ragazzo, il suo calore, il suo respiro. Li avrebbe tenuti con sé per un po’, si sarebbe aggrappata a quella vita sfiorata, di cui percepiva l’impronta rovente.
Spiccò il volo e si allontanò dalla piazza. Sarebbe tornata presto comunque, non appena ce ne fosse stato bisogno.
Il ragazzo alto e magro volse lo sguardo verso il cielo di Cagliari: gli parve, per un attimo, di vedere uno sfarfallio bianco, nella luce.
