La città e l’assenza

Amo camminare tra la gente, sentirmi parte di un tutt’uno che si muove nella stessa direzione. Ascoltare voci, cogliere brandelli di conversazione  senza senso. Osservare i vestiti delle donne e le mani degli uomini, scoprendo talvolta che una bambina con gli occhi grandi e le ciglia lunghissime ha indovinato il mio passatempo e mi sta guardando, a sua volta, mentre assapora lentamente un gelato semisciolto alla fragola.
Lei conosce il gioco che faccio, per cogliere un po’ di vita e di felicità negli sguardi della gente, in balia di un flusso disordinato di parole e stati d’animo che  sovrastano il mormorio monocorde dei miei pensieri. 

La città, per me, è il miglior rifugio. Le strade mi offrono un susseguirsi di finestre aperte, oltre le quali posso affacciarmi:  le vetrine illuminate raccontano di abiti eleganti e occasioni in cui indossarli, di occhiali da sole  per la prossima corsa in macchina lungo la litoranea, di libri da comprare e di piccoli caffè accoglienti, in cui sedersi  a raccontare e ridere, senza null’altro che quel momento da vivere.

Mi perdo tra le innumerevoli possibilità di esistenza con cui la città mi consola, almeno fino a quando, tra queste, non si palesa la tua assenza.

Perché, mi chiedo sempre, nella moltitudine di volti che mi sfilano davanti, non vedo mai il tuo? Perché tra le tante, stupide cose che potrei fare, manca la più sciocca di tutte, di cui sorridere con te? In queste domande si annida la mia rabbia, quel respiro freddo e accelerato che mi trattiene ancora per  strada, tra la gente. Cammino, ascolto più che posso e, guardandomi intorno, provo a cercarti negli altri.

Di solito è un sorriso, il primo dettaglio che riconosco di te, talvolta le braccia incrociate sul petto di qualcuno che è in attesa, magari fuori da un portone. O il modo in cui una persona che mi passa accanto veste la sua camicia bianca. E allora ringrazio la città, perché ha un modo tutto suo, disordinato e variopinto, di parlarmi di te, di mostrarmi la tua assenza piena, forte nella moltitudine.

Quando mi sento coraggiosa, mi avventuro nei luoghi in cui siamo stati insieme: mi arrampico in Castello, attraverso Porta Cristina al tramonto e mi perdo tra le stradine pietrose illuminate di giallo,  scegliendo il  percorso  più  lento  e complicato per arrivare alla Torre  e ai Bastioni.

Spero sempre di vederti lì, assorto, mentre spingi lo sguardo fino al Porto e oltre. Devi aver attraversato il mare, come avevi detto, e non credo che tu sia più tornato, da quando ti ho fatto il torto di andare via per sempre. 

Se sono riuscita ad arrivare così in alto, mi trattengo un poco a ricordare, prima di dissolvermi tra le luci della città e ricominciare a lasciarmi trasportare, per le strade, dalle vite degli altri.

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