-Forza Sam, alzati! Non puoi arrivare in ritardo anche oggi!-.
Samuele si stropicciò gli occhi e stiracchiò gambe e braccia sotto il piumone. Dopo 20 secondi già ronfava di nuovo, così non percepì il rapido scalpiccio dei due piedini cicciuti che stavano per spiccare un salto a mezzo metro dal suo letto.
-A-L-Z-A-T-I !!!- strillò Rebecca atterrandogli sullo stomaco.
Mentre cercava di respirare, Samuele si chiese se sarebbe mai più riuscito a trasformare il cibo in bolo. Sedette sul letto, pronto a riempire Becca di improperi, poi la vide correre via saltellando come un buffo gnomo, con i ricci color caffè che svolazzavano dappertutto, e sospirò.
Quando entrò in cucina trovò la sorellina che pescava i cereali dalla scodella con aria angelica:
-Becca, Becca è una prugna secca…- cominciò a canticchiare provando a non farsi sentire da sua madre, che stava spremendo le arance con gli occhi puntati alla piccola televisione sulla mensola,
-Becca, Becca, il tuo moccio non si secca…-.
-Silenzio ragazzi! Non avete sentito? Il giustiziere ha colpito anche stanotte. Ha fatto arrestare due sentinelle!-.
Sam spalancò la bocca, il cucchiaio colmo di corn flakes sospeso a mezz’aria: non poteva credere alle parole appena pronunciate da sua madre. Fino ad allora il misterioso giustiziere si era limitato a sventare qualche scippo nelle strade del quartiere o ad appendere ai lampioni alcuni vandali come salami in stagionatura, ma sembrava che adesso avesse deciso di dare battaglia alle “sentinelle”: per lo più si trattava di ragazzi molto giovani, appostati sui tetti dei palazzi più alti per controllare che la polizia o i carabinieri non fossero nelle vicinanze. Così le gangs del quartiere potevano svolgere indisturbate le loro losche attività.
-Era ora!- esclamò Sam -Forse così il traffico di drog..-.
-Sssshhhhh!!!- lo zittì sua madre, -Non voglio che ne parli davanti a Becca!-.
-Tanto lo so…- bofonchiò la bambina mentre sbrodolava mollicci petali di mais -… che c’è la drogheria qui vicino. Non sono mica una pupattola-.
Sam e sua madre si guardarono e scoppiarono a ridere.
Uscirono di casa tutti insieme. Nonostante le proteste, entrambi si beccarono un bacio materno sulla fronte e il solito miliardo di raccomandazioni: dritti a scuola, comportatevi bene, non mangiate porcherie, all’uscita subito a casa e 10 euro per i fumetti.
Ecco, quell’ultima parte si che gli piaceva. Poteva comprare Topolino, su cui Becca stava imparando a leggere, e il nuovo albo di Capitan America: Sam adorava i supereroi, per questo motivo il giustiziere che da circa due mesi vigilava sul quartiere gli stava simpatico. Forse non era quello il “modo giusto di agire” e lui non era un tipo “per bene”, come diceva sua madre, ma di sicuro faceva qualcosa di concreto per risolvere i problemi. Inoltre, tutta quella faccenda lo distraeva dal pensiero del divorzio dei suoi genitori.
Sam lasciò Becca all’ingresso dell’asilo e si incamminò a passo svelto verso la scuola media “Dino Buzzati”. Era una bella giornata di Marzo e il sole faceva luccicare il mare. Il quartiere sorgeva quasi a ridosso del Golfo Azzurro, sui resti di quello che in passato era stato il Borgo dei Pescatori. Non era rimasto molto della bellezza e della poesia di quel mestiere antico, che era stato cancellato dai palazzoni color cemento, gli “alveari”, così li chiamavano, costruiti in un tempo che solo i nonni di Sam ricordavano.
La mattinata trascorse fra lezioni di storia e matematica, scherzi idioti con cerbottane improvvisate e pranzo molliccio e insapore a base di pesce bollito e verdure.
L’ora di educazione fisica, invece, fu piuttosto traumatica. Sam era bravo in ginnastica, anche perché tre volte alla settimana faceva atletica, come sua madre quando era più giovane. Ma era anche amico di Paolo “il pallo”, così lo avevano soprannominato, perché si portava dietro qualche chilo di troppo. Nel campo di basket, al sole di quel pomeriggio tiepido, tre bulli e una bulla di 3ˆH li accerchiarono e si divertirono a mostrare agli altri ragazzi coma la pancia del “pallo” tremolasse a suon di pugni. Sam si difese abbastanza bene, ma per Paolo ci fu poco da fare, fino all’arrivo degli insegnanti. Seguì un interrogatorio “da paura” del preside. Ma faceva più paura l’idea di incontrare i tre bulli e la bulla nei bagni all’ora di ricreazione e nessuno, fra vittime e testimoni, parlò.
Mentre andava a prendere Becca all’asilo, Sam si sentiva piuttosto angosciato. Sua madre sarebbe stata convocata dal preside da lì a pochi giorni e, da vera paladina della giustizia quale era sempre stata, avrebbe chiesto a Sam di raccontare la verità, di fare i nomi di bulli e bulla, se li conosceva. Comprò i fumetti in edicola, ma quella notte andò a dormire senza nemmeno sfogliare l’albo del coraggioso Capitan America: si sentiva un codardo e se ne vergognava.
***
-Forza Sam! E’ tardi!-.
Samuele si stropicciò gli occhi, ma non appena provò a stiracchiarsi i dolori al torace gli fecero emettere un rantolo soffocato. Nella rissa del giorno prima, evidentemente, ne aveva prese più di quanto pensasse. “Fortuna che non ho lividi in faccia da spiegare” pensò mentre si trascinava in corridoio, “Almeno posso vivere in pace il tempo che mi resta, prima della telefonata del preside!”. Sospirò, mentre Becca, già pronta per la sveglia “a bomba”, lo seguì in cucina, delusa.
-Sam, hai sentito l’ultima?- esclamò sua madre non appena sedette a tavola, -Il giustiziere stanotte ha fatto arrestare alcuni vandali che stavano distruggendo i giardinetti vicino all’edicola!-.
-Evviva- rispose Sam tetro. La notizia di quella ennesima impresa coraggiosa lo fece sentire anche peggio. Il colpo di grazia, però, arrivò quando uscirono di casa e trovarono la macchina di sua madre senza pneumatici posteriori.
-Le hanno rubate ancora…- sospirò lei incredula, -…dovrò fare un’altra denuncia!-.
Poi guardò Sam e Becca e si sforzò di sorridere: -Forza! Non è successo niente di irreparabile! Filate a scuola ora, io corro alla fermata dell’autobus, altrimenti farò tardi in ospedale!-.
Sam la osservò mentre correva via, con l’uniforme da infermiera che spuntava dal borsone e la falcata veloce di chi era stata una sportiva di talento. Lei riusciva sempre ad affrontare i problemi nel modo giusto, senza abbattersi… ma la convocazione del preside l’avrebbe rattristata, ne era certo.
Sam camminò piano verso la scuola, trascinando le scarpe da tennis come se fossero state imbottite di piombo. Arrivò in ritardo e la bidella lo fece entrare solo perché il suo colorito le fece pensare a un “vomitino” imminente. Salì le scale tre gradini per volta, ma prima di imboccare il corridoio della sua classe, frenò la corsa, perché sentì delle voci minacciose, miste a singhiozzi.
-Hai capito, bamboccio? Se osi dire qualcosa al preside…- la bulla lasciò cadere la minaccia, mentre i due bulli tenevano Paolo “il pallo” contro il muro.
-No… no, lo giuro… non ho detto niente ieri… e non lo farò neanche quando verranno i miei genitori…-, supplicò lui.
-Nel caso mamma e papà ti chiedessero di raccontare la verità!-; la bulla gli rifilò un pugno sullo stomaco e scappò via insieme a suoi degni compari.
Sam era rimasto pietrificato dalla paura. Tutto si era svolto così in fretta che non aveva nemmeno avuto il tempo di fare un passo… e chissà, poi, se lo avrebbe mai fatto, in presenza dei bulli e della bulla.
-Come stai?- chiese avvicinandosi a Paolo, che stava seduto per terra, piegato in due dal dolore.
-Benino- disse lui. Riuscì anche a sorridere, mentre Sam sembrava affranto.
-Li odio- mormorò, -Vorrei che sparissero dalla faccia della terra-.
-Sai cosa dice mia madre?- sospirò Paolo provando ad alzarsi, -Che i bulli in realtà hanno una vita molto infelice. Chissà che problemi hanno a casa loro, quei tre-.
-E chi se ne importa. Non è mica colpa nostra-.
Sam aiutò l’amico ad alzarsi e finse di ignorare che aveva sentito alcune voci sulla famiglia della bulla, storie di abbandoni e maltrattamenti.
Quando Paolo si fu ricomposto, i due ragazzi bussarono alla porta ed entrarono in classe. Si scusarono per il ritardo, ma la professoressa Silla non era in giornata di grazia e ordinò che la liberassero immediatamente dalla loro presenza molesta.
-Credete forse di poter venire a lezione quando vi pare? Dritti dal preside!-.
-Ma io… noi…- mormorò Paolo, -Non è stata colpa nostra!-.
-E di chi, allora? Non mi direte che stamattina hanno portato le nonne di entrambi al Pronto Soccorso? O che il maestrale soffiava troppo forte per le vostre deboli rotule?-.
La classe ridacchiò all’unisono.
Paolo provò ancora a giustificarsi, ma Sam non stava più a sentirlo. Non sentiva nemmeno la professoressa che gli ordinava di uscire o i suoi compagni che mormoravano battutine fastidiose, mentre già qualcuno armeggiava con i cellulari per riprendere la scena.
Era davvero troppo. Era un’ingiustizia. Le botte, il divorzio, le ruote della macchina rubate, le minacce, sua madre costretta a venire a scuola per assistere a una patetica prova di codardia, delusa da quel figlio incapace di dire la verità, di fare i nomi della bulla e dei bulli che, forse, avevano più bisogno d’aiuto di lui e di Paolo messi insieme.
-Siamo arrivati in ritardo…- disse forte e molto chiaro -…perché Giada, Raffaele e Michele di 3^H stavano picchiando Paolo qui fuori, in corridoio. Lo stavano minacciando, per essere sicuri che non racconti la verità in presenza dei nostri genitori. Sono stati Giada, Michele e Raffaele ieri a picchiarci.
La classe ammutolì. Tutti sapevano, ma non riuscivano a credere che Sam avesse fatto i nomi. La professoressa Silla rimase a bocca aperta per 5 secondi appena: -Direi che dovete andare comunque dal preside. E subito!-, ordinò.
***
Dopo cena, Sam si infilò sotto le coperte, sazio di cheeseburger e patatine. Era felice, come non gli capitava da tempo. Quel pomeriggio sua madre era stata convocata a scuola, ma quando il preside le aveva spiegato ciò che era successo, era corsa a stritolare di abbracci “il suo Sam”, con tanto di occhioni lucidi. In macchina, poi, gli aveva detto quel “sono fiera di te” che lo aveva definitivamente steso, insieme ai bacini bavosi di Becca.
Sam sorrise, afferrò il nuovo fumetto di Capitan America e cominciò a leggere.
***
La madre di Sam e Becca attese che i suoi ragazzi si addormentassero, poi si preparò per uscire. Certo, quella storia degli pneumatici era una vera scocciatura, ma l’avrebbe risolta presto e definitivamente. Quando sentì l’ascensore aprirsi sul pianerottolo, aprì la porta di casa e salutò sua sorella: – Se si svegliano, ho avuto una chiamata urgente dall’ospedale-.
Mentre saltava sui tetti degli “alveari”, la madre di Sam e Becca si sentiva molto fiera, perché suo figlio, quel giorno, aveva imparato cosa fosse il vero coraggio.
Ma questo non significava che il quartiere non avesse bisogno di un giustiziere.

Anch’io adoro i supereroi da molto prima che i cinecomics li rendessero così popolari: infatti il primo cinecomic moderno (X – Men) è del 2000, e io leggo regolarmente i fumetti Marvel e DC dal 1995. Ad un profano potrebbero sembrare roba da ragazzini, invece ti assicuro che in realtà molti di essi sono rivolti ad un pubblico adulto, e hanno una profondità di scrittura davvero insospettabile.
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Ciao! Mi fa piacere che apprezzi il linguaggio della narrazione per immagini. Io collaboro da tanti anni con il Centro Internazionale del Fumetto di Cagliari e so bene che esistono molti pregiudizi (e anche un pizzico di confusione) su questo linguaggio potentissimo con cui si possono raccontare storie di ogni genere e per differenti target di lettori 😊
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