
Autore sconosciuto.
Inizia la primavera, ma i segni di rinascita sono pochi. È più di una settimana, ormai, che Cagliari è avvolta da un grigio abbacinante: è piovuta sabbia, dal deserto.
Ricondivido l’inizio di un racconto che ho pubblicato il 31 dicembre del 2020. Avrei voluto completarlo e pubblicarlo per Natale, perchè al centro della narrazione c’è un canto che adoro, Carol of the bells, che ho scoperto allora essere di origine ucraina, ma non propriamente legato al Natale, piuttosto al Capodanno.
Qui, nel pezzo che ripubblico, racconto come è iniziata la storia di Carol of the bells, o meglio Shchedryk, “Generoso”: è un canto beneaugurante, che celebra l’inizio del nuovo anno, nato dall’intuizione del compositore Mykola Leontovych, che ispirandosi a una melodia popolare ucraina, scrisse di una rondinella che sfida l’ultimo freddo dell’inverno per annunciare l’arrivo della primavera.
Mykola Leontovych venne assassinato nel 1921 da un’agente sovietico, in quanto sostenitore dell’indipendenza dell’Ucraina dall’URSS.
Qui il racconto completo: Di rondini e campane
* * *
Kiev, Dicembre 1916
-Myko?-.
Mykola Leontovych trasalì. Non aveva sentito Claudia entrare nella stanza e quando sollevò la testa dallo scrittoio e si voltò a guardarla, capì dall’espressione del suo volto quanto fosse tardi.
-Mi hai chiamato per cena e non sono sceso, vero?-, chiese.
-No, infatti, e Halyna c’è rimasta molto male. Voleva farti leggere il compito di storia prima di andare a dormire-, lo rimproverò Claudia cullando la loro secondogenita, -Domani mattina non saltare la colazione, mi raccomando. Vedrai che ti perdonerà, è così fiera di te-.
Myko annuì. Si alzò dalla sedia con lo slancio di chi non vedeva l’ora di stringere tra le braccia sua moglie e la sua bimba, un batuffolo morbido che articolava in continuazione gridolini acuti; sentì la schiena scricchiolare e si avvicinò più lentamente di quanto desiderasse.
-Il tuo papà è un vecchietto ormai…- rise Claudia vedendo la smorfia di dolore dipinta sul volto di Myko.
-Ah, non è vero…-, cantilenò lui prendendo la piccola Yevheniya e cullandola a passo di danza, -È solo che sono seduto su quella sedia da stamattina…-.
-E adesso hai l’occasione di sgranchirti un po’ le gambe, perché devi occuparti della bambina- aggiunse Claudia, -Io devo correggere i compiti di matematica dei miei studenti. Domani è l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze e…-.
-Aspetta, anche io devo finire…-; Mykola Leontovych tacque, perché sul volto di sua moglie era comparso uno sguardo speciale. Lo sguardo che non ammetteva repliche.
-Va bene, va bene… io e Yevheniya ce la caveremo benissimo da soli- disse Myko accomodandosi sul consunto sgabello davanti al pianoforte Wernam, -Vorrà dire che se il concerto sarà un fiasco…-.
-Vecchietto e lagnoso!- rise Claudia sistemando la cuffia della piccola Yevheniya e mettendole in mano il suo sonaglio d’argento preferito.
-Temo che sarà un disastro- sospirò Myko, -Olek è stato molto chiaro. Vuole un brano che ricordi la nostra tradizione musicale, che sia solenne e di buon augurio per il futuro… ah, il futuro. Niente di più incerto, per il nostro paese in particolare-.
Claudia lo guardò dolcemente: -Capisco le richieste di Olek, sai? Sono tempi bui e desidera che il coro degli studenti, all’Università, infonda un po’ di speranza in tutti noi durante il concerto-.
-Lo vorrei anch’io, ma non credo di riuscire nell’impresa. Nelle antologie di musica popolare ho trovato qualche melodia interessante a cui ispirarmi, però…-; le parole gli si fermarono in gola. Non sapeva nemmeno lui cosa non lo convincesse nelle note e nei versi che aveva abbozzato nei giorni precedenti.
-Mykola Leontovych!- lo riproverò sua moglie, -Non lo starai facendo di nuovo, vero? Quando arrivi quasi alla fine di un lavoro ti fai prendere da mille dubbi e ti ritrovi a mandare tutto all’aria e ricominciare da capo!-.
-Hai ragione Claudia- ammise Myko, -È che mi sento responsabile per Olek. Questo concerto potrebbe aiutarlo a realizzare il suo sogno… il Coro della Repubblica Ucraina! Non sarebbe bello se gli conferissero ufficialmente l’incarico di formarlo?-.
-Sarà fantastico, l’orgoglio del nostro paese e della nostra musica. Sono sicura che andrà tutto per il meglio, lo sento!- lo incoraggiò Claudia attizzando il fuoco nel caminetto, -E prometto che domani ascolterò le tue bozze-, aggiunse, anticipando la richiesta di Myko. -Domani, giuro. Con la fine della scuola sarò più libera, almeno per qualche settimana-. Claudia osservò le fiamme che languivano nel focolare: -Così va meglio, non credi?- chiese.
Myko le sorrise. La guardò uscire dalla stanza con piglio sicuro e seppe che, come sempre, sua moglie non aveva il minimo dubbio sul fatto che sarebbe riuscito a “trovare la musica”, così gli diceva sempre.
Prese dallo scrittoio una delle raccolte di canzoni popolari ucraine su cui stava facendo delle ricerche e tornò a sedere al pianoforte, con Yevheniya che lo fissava, rasserenata dal suo abbraccio e felice di potergli tirare la corta barba bionda spruzzata d’argento.
Myko provò al piano qualche accordo e cantò alcuni dei versi che aveva composto. Gradevoli, certo. Sarebbero senz’altro piaciuti al pubblico, ma dopo qualche tempo nessuno li avrebbe ricordati. E Mykola Leontovych sentiva che stavolta la sua musica avrebbe dovuto avere un destino diverso. Non era solo per sé, per Olek o per il Coro della Repubblica Ucraina. Aveva come un presentimento: il canto che stava cercando avrebbe attraversato la sua vita e quella di molti altri. Sfogliò il libro e suonò ancora.
-Credo che passeremo qui tutta la notte, mia piccola Yevheniya- sussurrò. La bambina sembrò tutt’altro che turbata dalla notizia.
Myko ripercorse ancora una volta le pagine su cui aveva lasciato un segno e si fermò a un brano che lo aveva incuriosito. Era una melodia apparentemente semplice, che si basava su un “ostinato” di quattro note: le intonò e Yevheniya rise. Uno squittio delizioso, accompagnato da uno di quei piccoli scossoni che percorrono i neonati all’improvviso, cogliendo di sorpresa i genitori inesperti.
-Piano piccolina…- rise Myko, -Ti piace questa musica?-.
Quattro note, ripetute due, tre, quattro volte. La bimba rise ancora, agitando il suo sonaglio d’argento.

Era come se Yevheniya avesse scoperto la musica per la prima volta in quel preciso istante e più Myko ripeteva le note, più lei sembrava felice, con quel suo sonaglio che tintinnava allegro.
-Sembri un uccellino nel nido, piccolina mia…- sussurrò Mykola Leontovych, -…che aspetta ansiosa il ritorno della sua mamma e del suo papà-.
Chissà perché a Myko vennero le lacrime agli occhi, mentre con una mano continuava a ripetere quelle quattro note sui tasti del vecchio Wernam e con l’altra reggeva la sua Yevheniya, nata in giorni di Guerra: quella civile che attanagliava l’Ucraina e quella mondiale che presto avrebbe insanguinato tutti i continenti.
Quattro note, su cui costruire l’attesa e la speranza. L’augurio di un futuro sereno in tempi difficili, in cui una melodia semplice scalda un cuore indurito dal gelo.
-Ricordati, piccolina…- sussurrò Myko, -Ricordati della bellezza e dei doni che la vita ti farà, uccellino mio-.
Mykola Leontovych si mise al lavoro. Mentre la neve fioccava copiosa sui tetti di Kiev, lui scrisse la storia di una rondinella che sfidava coraggiosamente il gelo dell’inverno, per annunciare che presto la primavera sarebbe arrivata e sarebbe stata carica di doni e sorprese.
Per un po’ Yevheniya rimase sveglia ad ascoltare suo padre suonare e cantare, accompagnando la musica con il lieve trillo della campanella nel suo sonaglino d’argento.
Quindi, piano piano, si addormentò.
(…)