Dubbio

il

“Finalmente questa giornata interminabile è finita”.

Il pensiero le balenò in mente per un istante, mentre sfilava gli occhiali e li poggiava sopra il volumetto che raccontava dello scrivano Bartleby.

Era stanca al punto giusto, si sarebbe addormentata subito. Anche quella piccola certezza la attraversò solo per un attimo, appena il tempo di afferrare l’interruttore dell’abatjour.

Fu allora, mentre il pollice ossuto spingeva verso il basso il pulsante, che li vide, poco oltre il comodino.

Due grandi occhi gialli che la fissavano.

Si spaventò così tanto che non ebbe nemmeno la forza di urlare. Fece un balzo verso il centro del letto e si trascinò dietro il filo dell’abatjour. Riuscì ad accenderla.

Gli occhi erano spariti.

Riprese a respirare. Aveva l’affanno. “Cazzo!” pensò, “Cosa cazzo era?!?”.

Erano trascorse circa due ore, quando si sentì abbastanza tranquilla da sdraiarsi di nuovo. Non spense la luce, quella notte, e dormì a malapena qualche decina di minuti sparsi.

Rimase sempre voltata dalla parte opposta rispetto a quella in cui li aveva visti.

Occhi gialli, acquosi.

***

L’indomani mattina si trascinò al lavoro senza riuscire a pensare ad altro che non fosse quella visione, tanto fulminea quanto inquietante. Stranamente, però, la paura e l’irrequietezza erano mescolate a una strana eccitazione, che la faceva sentire sgomenta e viva.

Era un periodo strano, quello. Forse le avrebbero rinnovato il contratto per altri 6 mesi, ma intorno a quella possibilità si affollavano speranze contradditorie. Non voleva lavorare lì per sempre, non a quelle condizioni. Occuparsi di titoli, obbligazioni, ipoteche di uomini abbienti le faceva ribrezzo. I soldi, invece, le facevano comodo.

Il dubbio avrebbe potuto accompagnarla per anni. E la sua indole attendista era un cappio al collo: di sei mesi in sei mesi, la corda si stringeva sempre di più. Guardandosi allo specchio, strizzando leggermente gli occhi, avrebbe forse potuto vedere un’abrasione leggera, ancora sopportabile, i cui capi si congiungevano sulla nuca, come un filo di perle.

Se non altro, gli occhi gialli l’avevano distratta da quei pensieri.

Ma chissà se quella notte avrebbe avuto il coraggio di spegnere l’abatjour.

Lo avrebbe scoperto fin troppo presto.

Aveva fatto tardi volutamente. Aveva anche bevuto più del solito, tanto per essere sicura di crollare. Ishmael era stato ben contento di riaccompagnarla. Con quel nome, e quegli occhi, non avrebbe potuto non piacerle. Eppure, qualche settimana prima, lo aveva respinto. In quel momento non ricordava bene perché, ma aveva a che fare con qualcosa del tipo “troppo bello per essere vero”, tutte quelle cose in comune, quel capirsi al volo, figuriamoci.

Si struccò lentamente, indossò il pigiama, di taglio rigorosamente maschile, e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi e le venne da ridere. Come poteva avere paura di qualcosa che aveva visto per una frazione di secondo, mentre già, probabilmente, stava sognando?

Baldanzosa, si voltò verso il comodino, afferrò l’interruttore dell’abatjour e spense la luce.

Gli occhi gialli era di nuovo lì. Solo che stavolta sembravano più grandi, roteavano vorticosamente e si avvicinavano alla sua faccia.

Strillò. Si alzò dal letto, le gambe impastoiate fra le lenzuola, cadde senza smettere di urlare. Riuscì ad alzarsi e a raggiungere l’interruttore sul muro. Il lampadario illuminò la stanza.

Vuota.

Gli occhi erano scomparsi.

Quella notte provò a dormire sul divano del salotto, la luce accesa, la tv sul canale che trasmetteva vecchi film, con il volto rassicurante di Cary Grant che le sorrideva.

***

Il giorno dopo sapeva di avere un problema. Rischiava di impazzire, al pensiero dei libri e dei film sull’argomento “presenze perturbanti” che le stavano prepotentemente tornando in mente, uno dopo l’altro. E chi chiamerai? Durante la pausa pranzo si torturò circa l’opportunità di telefonare al signor Turkey, il padrone di casa, per chiedergli qualche informazione sul suo appartamento. Sapeva che i precedenti inquilini erano vivi, perché li aveva incontrati, sembravano persone simpatiche. Padre, madre e tre figli, con una bimbetta bionda molto graziosa, ma stranamente silenziosa. Ci mise qualche minuto a realizzare che somigliava a una certa Carol Anne e che tutti insieme facevano tanto “famigliola Poltergeist”, così volle assicurarsi che il palazzo non fosse costruito sopra un cimitero indiano. Il padrone di casa, allarmato, le chiese se avesse riscontrato qualche problema nell’appartamento. Lei fece una risata isterica. Venne a sapere che la palazzina era stata ristrutturata circa 20 anni prima e che in passato era stata la sede di un ufficio distrettuale, o postale, il signor Turkey era stato piuttosto vago in proposito, ma le aveva garantito che avrebbe ricevuto via mail tutte le informazioni, se proprio ci teneva.

Lo ringraziò. Certo l’ufficio distrettuale non aveva nessun tipo di appeal orrorifico.

Trascorse la seconda parte della giornata lavorativa a vagliare diverse ipotesi:

– stava impazzendo;

– qualcuno le stava facendo uno scherzo o le aveva adulterato l’acqua;

– qualche defunto/a che ancora non era “passato oltre” aveva bisogno del suo aiuto per trovare la strada verso la luce… ma perché chiedere proprio a lei, che aveva un pessimo senso dell’orientamento?;

– Eugene Viktor Tooms era sgattaiolato dalle condutture dell’aria condizionata per strapparle il fegato a mani nude (gli appassionati di X-Files sarebbero stati d’accordo);

– l’Apocalisse era imminente.

Come se non bastasse, mentre usciva dall’ufficio, il suo capo le annunciò raggiante che il rinnovo del contratto era fissato per l’indomani mattina. Nell’ultimo mese aveva vissuto nell’ansia, al pensiero che presto quel momento sarebbe arrivato, e ora non aveva tempo: non solo per cullarsi nell’indecisione, ma nemmeno per accarezzarla, compiacendosi nel dubbio e in quel pizzico di vittimismo che la faceva sentire un’eroina romantica in balia del destino avverso.

Aveva gli occhi gialli di cui preoccuparsi.

Decise di chiamare Ishmael.

Alla luce soffusa di un pub scricchiolante, davanti a una birra rossa, lui l’ascoltò. In questo era bravo. Non la interruppe nemmeno una volta, limitandosi a passare le dita fra i capelli corti, in alcuni momenti.

Alla fine, glielo disse chiaramente. Le avrebbe risparmiato il pacchetto “prese per il culo tutto compreso” e le avrebbe invece dato un suggerimento: provare a capire cosa volessero da lei gli occhi da travaso di bile.

E vabbè. Faceva un po’ troppo “sesto senso”, ma forse non era un’idea sbagliata, anche perché, così era sembrato a Ishmael dal racconto, la seconda volta che gli occhi erano apparsi erano sembrati quelli di una persona arrabbiata… oltre che indemoniata, certo.

Toh, bravo. Lei non aveva fatto altro che pensare alle apparizioni, ma non aveva colto quella sfumatura. Ishmael si offrì di accompagnarla a casa, per capire insieme tutta quella faccenda, fosse mai che grazie alla presenza inquietante, ma niente.

Via il trucco, su il pigiama. Seduta, con le gambe incrociate sul letto, prese un respiro profondo: avrebbe provato a parlarci. Spense la luce.

Gli occhi erano lì, manco a dirlo, e lei decise di giocare d’anticipo.

– Cosa…

I bulbi gialli schizzarono verso il suo viso. Si sentì spingere indietro, la schiena premuta contro il materasso. Un peso sulla fronte, occhi negli occhi, quella cosa le stringeva i polsi e le bloccava le gambe. Stavolta non sarebbe riuscita ad accendere la luce. Sarebbe rimasta lì per sempre.

Respiro affannoso e cuore veloce, troppo veloce.

-Cosa devo fare?- riuscì a biascicare.

Perse i sensi.

***

Arrivò in ufficio con quasi un’ora di ritardo.

Si era svegliata incredibilmente riposata, peccato che non avesse sentito la sveglia, né i messaggi di Ishmael sul cellulare. Dopo la doccia, aveva avuto giusto il tempo di accorgersi dei lividi blu ai polsi e di scegliere una camicia bianca, a maniche lunghe.

Mentre sorseggiava il solito, pessimo caffè dell’ufficio, seduta alla scrivania, si rese conto di avere davvero paura. Cosa avrebbe fatto, quella notte? Come si sarebbe liberata di quegli occhi terribili? Il cuore avrebbe ripreso a correre, se non fosse arrivata una collega a ricordarle che il capo la stava aspettando in sala riunioni per quel maledetto contratto, altri 6 mesi e poi altri 6, forse.

Ok, avrebbe firmato e avrebbe chiesto di poter fare solo mezza giornata, perché aveva bisogno di pensare. Doveva trovare una soluzione.

Prese posto al tavolo, fingendo soddisfazione, sorridendo al capo che per l’ennesima volta le confermava la sua fiducia precaria. Non vedeva l’ora di uscire da lì, afferrò la penna e sollevò leggermente la manica della camicia bianca, un gesto abituale prima di scrivere, che però, quella mattina, svelò un terribile livido blu.

E si sentì impotente. Si sentì dubbiosa, sfiduciata, impaurita. Incapace di farcela, da sola o con qualcuno. Sentì che sarebbe rimasta bloccata lì per sempre.

Lasciò cadere la penna, che rotolò giù dal tavolo. Un piccolo tonfo sul pavimento, attutito dalla moquette. Il capo si chinò prontamente a raccogliere la finta stilografica riservata ai finti contratti. Quando si rialzò, lei aveva già lasciato la stanza.

***

Quella sera, sul divano di casa, brindò insieme a Ishmael.

Non era certa di aver fatto la scelta giusta, ma aveva deciso di imboccare una strada nuova, c’era di che festeggiare.

Lui le accarezzò i polsi bluastri con delicatezza. Si vedeva che era contento di essere lì, ma sembrava anche preoccupato. Lei avrebbe voluto dirgli che si, quei lividi le facevano male, ma che l’invisibile filo di perle che le stringeva e graffiava il collo era scomparso. E che, ne era certa, quella notte sarebbero scomparsi anche gli occhi demoniaci.

Siccome Ishmael non avrebbe capito niente, preferì baciarlo.

Arrivarono in camera da letto con pochi indumenti addosso. Lei, tanto per stare tranquilla, gli chiese di tenere la luce accesa. Lui benedisse i bulbi da travaso di bile, acquosi e roteanti, che lo avevano fatto arrivare fino a lì. Paziente, era stato paziente, dopotutto.

Mentre facevano l’amore, lei si chiese perché avesse aspettato tanto, ma non riuscì a ricordarselo. Poi scivolò sopra di lui, lo prese a piccoli morsi sul collo e si dimenticò di tutte le domande del mondo.

Più tardi Ishmael si ritrovò a guardarla mentre dormiva, come uno scemo.

Sembrava così tranquilla. Non la svegliò nemmeno il trillo vivace del cellulare, che annunciava l’arrivo di una mail o di un messaggio, chissà.

Ah, se era innamorato. Solo quei lividi ai polsi rovinavano l’idillio. Dopotutto gli occhi potevano anche essere stati un sogno, per quanto realistico, ma i lividi… per una frazione di secondo, Ishmael si chiese se l’idea che si era fatto di lei, di quello che provava quando la guardava, non fosse “troppo bella per essere vera”. Il dubbio lo attraversò per un istante; Ishmael lo allontanò scuotendo la testa spettinata, poi le cinse i seni con un braccio e si allungò verso l’abatjour per spegnere la luce.

Con un guizzo, gli occhi gialli emersero dal buio, roteando furiosamente.

***

Il vecchio signor Turkey sospirò, per l’ennesima volta quella mattina.

– C’è qualcosa che la preoccupa?- chiese Nippers mal celando il tono spazientito, -Sbuffa come un treno a vapore da quando è arrivato al cantiere-.

-Non faccio che pensare a quella storia… ieri notte ho inviato tutta la documentazione , ma non ho ancora ricevuto risposta-.

– Nessuna nuova, buona nuova- tagliò corto Nippers in un impeto di giovanile irrequietezza, -Magari alla ragazza non importa di quegli stupidi pettegolezzi. Magari è più razionale di quei tre bambini pestiferi che un anno fa hanno praticamente costretto i genitori a cambiare casa-.

Il signor Turkey non sembrava convinto: -Si è trasferita in città per provare a farsi assumere al Putnam’s Magazine, te lo ricordi Nip? Questo significa che le piacciono le storie, anche se ora lavora per quello studio legale… bah, non ricordo il nome. In ogni caso, quando vedrà quel vecchio ritaglio di giornale, non potrà che restarne colpita-.

– Mi chiedo perché abbia voluto mandarglielo- bofonchiò Nippers sistemandosi sulla testa il casco di protezione, -Comunque ora dobbiamo concentrarci sul lavoro. Questo palazzo sarà un vero gioiello quando la ristrutturazione… -.

-Gliel’ho mandato…- continuò in tono severo il signor Turkey -…perché io sono una persona onesta-.

Nippers alzò gli occhi al cielo. Se fosse onesto, caro signor Turkey, pensò, avrebbe raccontato subito agli inquilini del palazzo che la loro casa è stata costruita sulle mura del vecchio Ufficio Lettere Smarrite del Distretto. Avrebbe raccontato di quell’impiegato che, uscito fuori di testa, si era rifiutato di abbandonare l’edificio, quando l’amministrazione cittadina aveva deciso di destinarne i locali a un uso diverso. Pover’uomo, strillava di non poter lasciare incustodite le lettere smarrite, di doverle tenere in ordine, nel caso in cui qualcuno si fosse presentato a reclamare quella risposta che avrebbe sciolto ogni incertezza, sul passato e sul futuro. Infine, signor Turkey, avrebbe raccontato di quelle voci, secondo cui il disgraziato, dopo aver trascorso qualche mese in prigione, aveva preso ad aggirarsi intorno al suo vecchio ufficio, come un fantasma coperto di stracci. “Non c’è peggiore condanna del dubbio, per un uomo”, pare rispondesse così a chiunque gli rivolgesse la parola. Quando scomparve, in molti pensarono che fosse morto di inedia, nascosto nei sotterranei dell’edificio.

-So cosa ti frulla in testa Nippers, ma a quei tempi, 1850 o giù di lì, questi episodi macabri erano all’ordine del giorno… chi poteva immaginarsi che la faccenda si sarebbe trascinata fino ad oggi?- sibilò il signor Turkey a denti stretti.

– Curioso però che l’amministrazione cittadina le abbia venduto l’edificio per quel prezzo ridicolo- asserì Nippers laconico, -E che negli ultimi 20 anni nessun inquilino si sia fermato nel palazzo per più di 18 mesi-.

– Per Giove Nip, non vorrai dirmi che credi a queste storie?- tuonò il signor Turkey.

Nippers sorrise: -Io… preferirei di no-.

***

NdA: un piccolo racconto, dedicato a “Bartleby lo scrivano” di H. Melville.

Herman Melville, 1860

Un commento Aggiungi il tuo

  1. j re crivello ha detto:

    Link Lorella, Grazie! Juan

    Dubbio by Lorella Costa

    "Mi piace"

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